di Vincenzo Costa, 15 giugno 2020
https://www.facebook.com/vincenzo.costa.79025/posts/156379582678029
Molto si è scritto e si sta scrivendo sul liberalismo, e tuttavia forse talvolta si cade in alcune confusioni concettuali. Vorrei proporre la seguente tesi:
Il socialismo è la prosecuzione e lo sviluppo delle istanze liberali, mentre il neoliberalismo è una brusca rottura con esse, un loro tradimento. La svilupperò solo in parte e, ovviamente, solo per accenni.
- Ragioni storiche
Vi sono ragioni storiche che potrebbero supportare questa tesi, e molto spesso potremmo rintracciarle nella storia del movimento operaio, che di fatto si appropriò di quelle istanze, le universalizzò e le sottrasse alla loro origine censitaria e di classe.
Per esempio, la libertà di stampa e di opinione è monca in un mondo in cui solo alcuni hanno accesso ai media, o in cui alcuni uomini dipendono da altri uomini per la loro sopravvivenza. Ma quelle libertà sono valori universali, che non si tratta certo di negare, ma di rendere fruibili per tutti.
Per la tradizione socialista si tratta allora di rendere effettivi i diritti liberali, impedendo che essi siano valori puramente formali che nascondono l’oppressione e la mancanza di libertà reale, e per molti aspetti questo è il nucleo della critica marxista.
Si tratta, in altri termini, di realizzare i diritti liberali. Del resto, esiste una ricca e istruttiva tradizione che si richiama appunto all’idea di socialismo liberale. Potremmo riassumerla in questo modo:
Il sorgere di individui autonomi e l’affermarsi delle libertà individuali è un processo irreversibile (nessuno di noi tollererebbe di esserne privato), rappresenta una conquista razionale, per cui si tratta di pensare nuove forme di legame che consentano agli individui di costruire insieme forme di vita associata al cui interno siano tollerate le singolarità e le unicità irriducibili. Si tratta dunque di pensare le singolarità non come atomi irrelati, ma come singolarità che costruiscono insieme il loro destino.
Ma non è su questo che vorrei soffermarmi qui. Vorrei invece fare emergere da alcuni testi (con una lettura ovviamente rapida e parziale) come il neoliberalismo sia un tradimento e una negazione del pensiero liberale classico, quello che, per essere chiari, possiamo ritrovare in John Stuart Mill e Tocqueville e che si sviluppa in Habermas e Rawls.
- Popolo e democrazia
Se prendiamo le mosse da Mill troviamo subito che, a suo parere, «le classi lavoratrici diverranno anche meno disposte di quanto non siano attualmente a lasciarsi guidare e governare, e dirigere nella via che dovrebbero seguire, dalla semplice autorità e prestigio dei loro superiori».
Non è più pensabile un governo elitario che non coinvolga le classi lavoratrici, a meno di non aprire le porte a un conflitto sociale disastroso per l’intera società. Per Mill «i poveri sono sfuggiti alle redini dei loro educatori e non si possono più governare o trattare come bambini. È alle loro stesse qualità che si deve ora affidare la cura del loro destino».
Se guardiamo invece la posizione di von Hayek troviamo una posizione opposta. Per von Hayek si tratta infatti di limitare le competenze della stessa democrazia liberale parlamentare, poiché, spinti dall’opinione pubblica, i parlamenti potrebbero deliberare in maniera “dispotica”, imponendo limiti alla proprietà privata, al mercato e alla sua capacità di organizzare e distribuire liberamente ricchezza, per cui bisogna garantire la libertà individuale contro il rischio di una “tirannide” democratica, sostituendo alla democrazia una demarchia, al cui interno al popolo è concesso di approvare i principi, ma non di governare. Si tratta, insomma, di affidare le decisioni importanti concernenti la libertà e il mercato a istituzioni diverse da quelle democratico-rappresentative (Hayek, 412).
- I corpi intermedi
Se leggiamo Tocqueville troviamo la necessità di corpi intermedi attraverso cui il cittadino può scegliere la propria rappresentanza. Per esempio, un sindacato o un’associazione che lo rappresenti nei processi di formazione di una volontà generale. In questo senso, Tocqueville attira l’attenzione sul fatto che le associazioni sono necessarie per «rinnovare la circolazione dei sentimenti e delle idee» (Tocqueville).
Attraverso le associazioni si producono prime forme di volontà comune, si formano corpi intermedi che da un lato impongono al governo questioni che i singoli non sarebbero capaci di imporre, dall’altro attraverso esse i singoli possono partecipare alla formazione di una volontà politica nei limiti del loro tempo e delle loro competenze. Le associazioni di qualsiasi tipo (religioso, sindacale, territoriale etc.) rappresentano dunque modi di formazione della volontà dal basso.
Partiti e associazioni (i corpi intermedi), infatti, sono il cuore e il motore della democrazia, e offrono il metodo attraverso cui si forma una volontà democratica. Infatti, «non appena un certo numero di abitanti degli Stati Uniti hanno concepito un sentimento o un’idea che vogliono introdurre nel mondo, si cercano, e, quando si sono trovati, si uniscono. Da allora non sono più uomini soli, ma una potenza visibile a distanza, le cui azioni servono d’esempio: che parla e viene ascoltata» (Tocqueville).
Se leggiamo von Hayek troviamo una direzione opposta, poiché a suo parere «ciò che ostacola vieppiù il funzionamento delle forze spontanee del mercato non sono i monopoli di cui si lamenta l’opinione pubblica, ma le onnipresenti associazioni dei vari “settori”. Esse operano in gran parte mediante la pressione che sono in grado di esercitare sul governo al fine di “regolare” il mercato secondo i loro interessi» (Hayek).
- Eguaglianza politica
Senza una effettiva uguaglianza politica il liberalismo nega se stesso, e Rawls «afferma che tutti i cittadini devono avere eguale accesso, almeno in senso formale, alle cariche pubbliche». Nella misura in cui questo diritto di partecipazione diventa però puramente formale, cioè una possibilità che non può essere agita, le istituzioni su base rappresentativa perdono rapidamente di legittimità, i partiti, da luogo di formazione di una intenzionalità collettiva, divengono associazioni di privati e «il pubblico come tale è inserito solo sporadicamente in questo ciclo del potere e anche in tali casi soltanto per applaudire i risultati» (Habermas).
Al contrario, il pensiero neoliberale ha costruito l’idea di un ceto politico separato, riducendo così l’idea di partecipazione. Questo punto emerge con chiarezza nell’impostazione di Giovanni Sartori, secondo cui «la democrazia elettorale non decide le questioni, ma decide chi deciderà le questioni». Ovviamente, in questo caso il tipo di giudizio che l’opinione pubblica deve formarsi non è sulle cose, sugli orientamenti politici. Bisogna cioè abbandonare l’idea di un popolo capace di formarsi un’opinione su ogni argomento e poi, in un secondo momento, di dare un mandato a dei rappresentanti.
Nell’impostazione neoliberale il popolo non deve partecipare, ma votare. Due prospettive si delineano. Da una parte l’idea liberale classica, quella di un processo attraverso cui la moltitudine, guidata da principi di giustizia e assumendo il punto di vista degli altri, si costituisce in popolo sviluppando razionalmente un’opinione. Dall’altro quella del teorico neoliberale secondo cui «le elezioni esprimono, nel loro complesso, l’opinione pubblica» (Sartori).
Probabilmente proprio questa impostazione ha portato al collasso delle democrazie occidentali.
- Giustizia sociale
Secondo Rawls i benefici prodotti da un uguale accesso alle opportunità devono essere distribuiti in maniera giusta, in quanto «chi è stato favorito dalla natura, chiunque sia, potrà godere della propria buona sorte solo in condizioni capaci di migliorare le condizioni di chi è rimasto escluso» (Rawls). Pertanto, al centro di questa prospettiva vi è l’idea di giustizia. In questo contesto, una giusta redistribuzione della ricchezza è un mezzo per restituire a tutti le proprie possibilità di azione e per impedire che si crei un sistema di privilegi dinastici, come anche che si creino imperi troppo potenti, la cui esistenza sarebbe una minaccia per la democrazia e la libertà di tutti (Dahl).
Nella prospettiva neoliberale, invece, da un lato si nega che chi parte svantaggiato non ha eguale accesso alle possibilità, sicché parlare di merito in queste condizioni diventa un’offesa, dall’altro si sviluppa un’idea antisolidaristica che rende impossibile l’inclusione e distrugge ogni possibilità di comunità politica.
Nella prospettiva neoliberale le pretese di giustizia vengono concettualizzate come richieste corporative, e non è infrequente, nella tradizione neoliberale, – come capita in Spencer, a cui l’impostazione neoliberale si ispira – che le tasse pagate dai ricchi vengano paragonate a «corvée di Stato» (discorso ripreso pari pari dalla destra salviniana), né è raro imbattersi in interpretazioni secondo cui la rabbia della moltitudine sarebbe espressione di invidia sociale.
- Che significato politico hanno queste brevi considerazioni concettuali?
Da queste considerazioni si possono trarre alcune considerazioni politiche:
a) Al contrario del liberalismo classico, che era inclusivo, il neoliberalismo ha mirato a svuotare la democrazia, spostando i centri decisionali verso istituzioni sganciate dal controllo democratico, ma anche prive di legittimazione popolare. Si è così creato un deficit di rappresentanza che ha minato le basi degli istituti democratici e ha allontanato i ceti popolari dalle istituzioni, dando luogo al fenomeno dell’antipolitica.
b) La variante economica del neoliberalismo ha spezzato quel patto solidaristico minimo e inclusivo senza di cui una società si frantuma in interessi corporativi, divenendo ingovernabile (lo stiamo vedendo in questi giorni con gli Stati generali).
c) Di questi due elementi si nutre il populismo di destra, che continuerà a prosperare sin quando non si abbandona quella prospettiva fallimentare che frantuma il corpo sociale.
Se potessi rivolgere un invito, sia agli amici liberali sia agli amici che si ispirano alla tradizione socialista, direi:
a) I liberali hanno il compito di smarcarsi dal tradimento neoliberale e recuperare il nucleo autenticamente universalistico del liberalismo classico, poiché solo a queste condizioni possono pretendere che i valori liberali siano valori universali e non di casta;
b) I socialisti quello di chiedersi come, oggi, i diritti di libertà, autonomia e partecipazione possano essere implementati, e ricordarsi che il liberalismo può essere superato sia da destra, e ciò significa negando le conquiste liberali (una prospettiva antistorico e sterile che Marx etichettava come “socialismo reazionario”), o da sinistra, cioè realizzando, proprio sulla scia dell’articolo 3 della nostra carta costituzionale, i valori liberali e universalizzandoli, cioè creando le condizioni reali che consentono a tutti di poterne usufruire.
Recuperare la lezione del liberalismo classico significa infine recuperare un terreno comune, prima delle divisioni necessarie e vitali, condizione necessaria se non vogliamo che del tradimento neoliberale dei valori liberali si avvantaggi la destra peggiore, quella che, con toni populisti che si sono ripetuti più volte, riproporrà le discriminazioni di sempre e implicherà un arresto storico che può essere assai lungo e penoso per le classi lavoratrici come per l’intera società.