di David Arboit
Quello che rende inaccettabile la dura critica che il Sindaco Giorgio Gori rivolge al Segretario nazionale del PD Nicola Zingaretti non è certo il delitto la “lesa maestà” nei confronti del ruolo di Segretario, delitto che è previsto dal leaderismo di un partito populista personale, ma che in un partito democratico non esiste. Sono piuttosto la tempistica dell’uscita e certi contenuti politici e culturali.
Sui tempi si è espresso con chiarezza il Segretario nazionale Zingaretti che già da tempo, insieme a tutto il gruppo dirigente del PD, reclama, ormai a gran voce, un cambio di passo del governo (clicca qui). Perfettamente in sintonia con Zingaretti anche Andrea Marcucci, capogruppo del PD al Senato e appartenente alla corrente “Base Riformista” (clicca qui).
E allora? Uscita fuori luogo di Gori che ponendo il tema della leadership del PD con dichiarazioni sui massmedia ha di fatto dato pubblicamente dell’incapace a Zingaretti (clicca qui). Attenuanti generiche: i Sindaci, forse perché sono in prima linea nella amministrazione dello Stato, hanno contatto quotidiano con la marea montante dei bisogni dei cittadini, a volte perdono la pazienza, a Bergamo, come a Milano e come altrove… e sbagliano.
Al di là dell’infelice riferimento alla leadership, nell’intervista che oggi Gori rilascia al quotidiano “La Repubblica” si possono sottolineare due aspetti: uno molto positivo e uno molto negativo (clicca qui).
Molto positivo è il richiamo al Governo rispetto alle cose da fare. Ci sono partite aperte, prima fra tutte quella del MES, che devono essere chiuse al più presto. Il MES si farà perché l’Italia ne ha bisogno. Comprensibile tergiversare un po’ per non far perdere di nuovo la faccia a M5S, comprensibile utilizzare la tattica degli Stati Generali per fare capire a certi zucconi che il MES di oggi non è più quello di un tempo, ma poi bisogna fare. E così via sulle altre partite urgenti che Gori nomina una per una.
La parte peggiore della uscita di Gori è invece il quadro culturale-politico che traspare dalle sue dichiarazioni, e in particolare quando dice «Vedo ritornare vecchi pregiudizi anti-impresa e l’idea dello Stato imprenditore, tendenza Mazzuccato. Non possiamo interpretare questo rapporto come un’alleanza strutturale in cui pur di andare d’accordo si sacrificano tratti fondamentali della nostra identità». Evidentemente Gori ignora le ricerche scientifiche di Marianna Mazzuccato, ricerche che squalifica con grande superficialità definendole «pregiudizi anti-impresa».
E per quanto riguarda i «tratti fondamentali della nostra identità» questa superficialità dimostra che è ora che Gori e tutto il PD si confrontino seriamente con gli studi scientifici economici più recenti, di Mazzuccato e anche di altri. Due gli obiettivi di questo lavoro. In primo luogo per guadagnare una visione strategica di medio e lungo periodo sullo sviluppo economico, visione di una crescita economica sostenibile sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista ambientale. In secondo luogo per demolire una immagine-identità del PD come elité politica servile nei confronti delle oligarchie economiche e finanziarie nazionali e internazionali. Questo lavoro culturale aiuterebbe tutti a capire che la «creazione di ricchezza e crescita» (citate da Gori) nella complessa competitività del mercato mondiale globalizzato, e soprattutto nei Paesi avanzati, non possono più essere il risultato del libero mercato, ma sono il frutto di una politica economica orientata da scelte politiche strategiche e determinate (clicca qui).
Le suggestioni politico-culturali di Gori sembrano essere in continuità con una stagione disastrosa della sinistra europea, stagione che l’ha condannata alla sconfitta, l’ha destinata alla irrilevanza, e identificandola con l’interesse esclusivo delle élite industriali e finanziarie ha spalancato praterie al populismo sovranista. Ed è per correggere questi errori che fin dal dicembre 2019 Zingaretti ha prospettato l’idea di un congresso che mettendo finalmente da parte il tema marginale della leadership, affrontasse le questioni culturali e politiche, progetti politici a medio e lungo termine, visioni strategiche per ridefinire i «fondamentali della nostra identità».