di David Arboit
Terzo giorno di negoziati a Bruxelles. In questo momento si tratta ad oltranza. Si andrà avanti durante la notte e c’è chi dice anche si proseguirà anche domani se necessario. Ma chi è questo signor Mark Rutte che esibisce la sua arroganza in modo clamoroso e si permette il lusso di bloccare 26 Paesi? Che cosa pensa? Che cosa vuole? E quali sono le vie di uscita da questo stallo? Possiamo noi europeisti consentire a pochi miopi opportunisti di fare fallire il progetto della Unione Europea?
Una intervista al settimanale 7 del Corriere della Sera del 3 luglio aiuta a capire che cosa frulla nella testa di questo olandese. Parte bene Rutte: con l’Italia nessun problema, con Giuseppe Conte nessun problema e soprattutto «io credo che un’Europa forte sia nell’interesse di tutti. E questo significa anche un’Italia forte». Caspita! Che dire, Mark ha capito tutto? (clicca qui).
No, l’asino casca poco dopo. Casca dopo poche righe nelle quali Rutte ci spiega che sì, certo, bisogna essere solidali, però «gli Stati i quali necessitano e meritano aiuto devono anche far sì che in futuro siano capaci di affrontare da soli crisi del genere in modo resiliente». Ma che significa? “Aiutati che Dio t’aiuta”? Se così fosse ci potrebbe anche stare. Invece è che «è cruciale che la prossima volta l’Italia sia in grado di rispondere a una crisi da sola». Cioè per questa volta vi diamo una mano ma la prossima sono solo affari vostri. Insomma, il signor Rutte dimostra chiaramente di non avere capito che se si parla di “affari”, nella economia globalizzata non ci sono “affari tuoi” e “affari miei”, che non ci si salva da soli.
E perché sia chiaro che sono “affari nostri” e non sono “affari suoi” il signor Rutte afferma che di contributi a fondo perduto non vuole neppure sentire parlare. Quindi chi ha bisogno si carichi di debiti e faccia i relativi sacrifici per ripagarli. Questa è la sua idea di “unione” della Unione Europea. Insomma «Italia e Spagna devono rispondere alla domanda: cosa possiamo fare per poter affrontare da soli la prossima crisi?» Alla fine a Rutte non etra in testa l’idea che “uniti ma da soli” sia una affermazione contraddittoria se non bislacca.
Il signor Mark poi respinge con vigore l’idea che l’Olanda applichi il “dumping fiscale”. Messo sul banco degli imputati si proclama innocente, ma non è per nulla credibile. È normale, gli imputati fanno tutti così: si proclamano innocenti a prescindere. E il Mark d’Olanda non si rende conto che proprio questa sua incredibile “difesa” distrugge anche la credibilità di quello che dice a proposito del “rigore” degli altri.
Quando il giornalista gli ricorda il recente richiamo di Draghi, Rutte non risponde, svicola, balbetta alcune ovvietà e termina ipocritamente con una lode sperticata del nostro Mario nazionale. Ma non entra nel merito perché gli argomenti di Draghi sono esattamente l’opposto dei suoi.
Sulle ragioni di questo comportamento riflette sul “Corriere della Sera di oggi” Federico Fubini (clicca qui). Il fatto è, scrive Fubini, che Rutte e l’Olanda sulla Unione Europea non hanno alcun progetto politico: stanno nell’unione solo e soltanto perché gli fa comodo e fino quando gli farà comodo. Si può andare avanti ancora con gente così?
Maurizio Molinari, su “La Repubblica” di oggi, osserva che siamo nel bel mezzo della peggior crisi mondiale dal 1945 ad oggi, e ci sono dei Paesi UE che vogliono litigare facendo emergere gli egoismi nazionali. Invece si dovrebbe «varare una risposta talmente ambiziosa su crescita e giustizia economica da frenare tanto la recessione che le disuguaglianze» (clicca qui).
Ma allora che fare?
Una soluzione ai problemi creati dalla rigidità olandese c’è: una maggiore integrazione tra Stati, una maggiore unione con chi ci sta. È la soluzione prospettata da Thomas Picketty un un’altra interessante intervista al settimanale 7 del Corriere della sera (clicca qui). «Dobbiamo agire, senza attendere un’unanimità che non arriverà mai. – dice Picketty – I Paesi che sono pronti ad avanzare sulla strada della messa in comune dei tassi d’interesse possono e devono muoversi da soli». Serve un nuovo trattato a quattro (Parigi, Berlino, Madrid, Roma) e con chi ci sta. «Altrimenti rischiano di restare sempre immobili, con l’alibi di essere ostacolati da qualcuno. Prima la grande scusa era la Gran Bretagna, adesso che è uscita ci sono i Paesi del Nord. Invece è il momento di superare la regola dell’unanimità e del diritto di veto su questioni così vitali. Non possiamo aspettare di convincere i Paesi Bassi o il Lussemburgo. Andiamo avanti senza di loro poi vedremo».
Ed è anche questa ipotesi che sembra profilarsi in queste ultime ore della trattativa. Le proposte sul tavolo per sgretolare la rigidità dell’Olanda sono due.
La prima è l’opting out, cioè la firma di un accordo a 26 con l’Olanda esclusa dagli aiuti post Covid. È un’idea che ha messo sul piatto ieri Enrico Letta e potrebbe significare l’inizio della uscita dell’Olanda dall’Unione.
La seconda ipotesi è che il governo italiano avvii un ricorso alla Corte di giustizia europea. Si tratterebbe di portare all’organo che ha il compito di garantire il rispetto del diritto comunitario l’incompatibilità di quanto proposto dall’Olanda con i trattati europei. Con la proposta olandese la Commissione e Parlamento verrebbero tagliati fuori dalle decisioni, il che sarebbe la fine dello spirito comunitario e la consegna di tutto il potere nelle mani dei singoli Stati membri. Insomma significherebbe sancire la fine della Unione Europea