di David Arboit
A Bruxelles in questo momento si tratta ancora ad oltranza. Giungono voci che autorizzano un certo ottimismo. Il fatto è che il punto di caduta deve consentire a tutti di cantare vittoria, cosa non facile, ma si può fare. Vedremo in serata se e come andrà a finire. Sull’andamento delle trattive i giornali di oggi riportano commenti piuttosto interessanti.
Ezio Mauro su “La Repubblica” richiama la dimensione epocale della sfida che i 27 Paesi della Unione Europea devono affrontare. I soldi – scrive Muro – sono importanti, sono anche tanti, ma non sono tutto. Quello che più importa è una «partita politica» che ha una valore storico (clicca qui) in quanto «decisiva per il futuro del nostro continente». In sintesi dice Mauro si tratterebbe di «dare un sovrano per quella moneta nuda che è l’euro». È un richiamo all’unità politica di un’Europa che in questo momento storico deve definire un “popolo sovrano”, con un potere legislativo, il Parlamento europeo, e un potere esecutivo, il Governo europeo che è la Commissione. Si tratta di abbandonare al suo destino la Unione Europea come mero trattato tra Stati nazionali e chi la vuole mantenere così. L’Unione Europea deve poter «agire come uno Stato». Per contrastare questa opportunità storica emerge un «nuovissimo nazionalismo non sovranista ma elettorale» che non comprende la sfida politica e culturale e vuole comprometterla con le ragioni più meschine e vergognose dei giochi di potere. Qui, oggi si vede chi ha la dimensione dell’uomo (o donna) di Stato chi no.
Federico Fubini sul “Corriere della Sera” sottolinea come a torto o a ragione i cosiddetti paesi “frugali” trovano motivi a cui appigliarsi per potere dire “non diamo soldi all’Italia”. La voce circolata su sgravi fiscali. “Meno tasse per tutti” sembra essere uno slogan che funziona sempre da vent’anni a questa parte in Italia. E fa ancora breccia. Quota cento e reddito di cittadinanza sono due punti deboli nella contrattazione con gli Stati UE, e anche in Italia ci sono molti dubbi sulla loro utilità sociale (clicca qui). D’altro lato è chiaro che chi punta il dito contro l’Italia ha una visione assai limitata della Unione Europea, ossia come di un mercato nel quale «cogliere il massimo dei benefici e assumere il minimo delle responsabilità».
Nell’ombra del dibattito sull’uso del Recovery Fund si cela secondo Stefano Folli lo spettro del MES (clicca qui). L’intreccio tra polita internazionale della Unione Europea e politica interna diventa anche in Italia decisivo: «contano solo i riflessi in patria dello psicodramma» che si gioca a Bruxelles. Ritorna in voga il tema del «mettere in discussione la figura del premier», ma non subito. E i conti, con i tagli che la trattativa sta imponendo alla quantità di denaro, non tornano.
Romano Prodi sul “Il Messaggero” insite sul tema del voto all’unanimità. Questione certamente dirimente e cruciale. La semplice logica ci suggerisce però come sia impensabile che il voto all’unanimità sia superato per mezzo di un voto all’unanimità (clicca qui). Sarebbe come sperare che in Italia i partitini italiani votassero una legge elettorale con uno sbarramento al 5%. Si può ragionevolmente pensare che chi gioca il suo potere sul ruolo di “ago della bilancia”, chi può esercitare continuamente una possibilità di ricatto, rinunci volontariamente al suo potere? Non di certo. E allora? Per fare funzionare finalmente la democrazia, per garantire una governabilità e quindi una reale efficienza alla democrazia, è necessario tagliare fuori con decisione e senza pietà chi si arroga il diritto di veto. L’Europa proceda senza paura a costruire una unione politica con chi ci sta.